Buttiamo via i nostri giudizi
Gesù dice, e la nostra esperienza lo ha più volte dimostrato, quanto più facile sia vedere la pagliuzza nell’occhio del fratello, piuttosto che la trave nell’occhio nostro. Più facile è per noi ingoiare il cammello mentre siamo intenti a filtrare il moscerino. I difetti sono come i fari abbaglianti dell’automobile: sono solo quelli degli altri a darci fastidio: “Non giudicate, affinché non siate giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: “Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza”, mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello” (Matteo 7:1-5). E’ facile giudicare gli altri, più difficile giudicare noi stessi: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità” (Matteo 23:27-28). L’ipocrita era una maschera teatrale dietro la quale si nascondeva l’attore. Buttiamo via questa maschera, mostriamo il nostro vero volto, perché solo così saremo più indulgenti con gli altri. Talvolta accade che proprio quando non viviamo una vita conforme alla volontà di Dio, che diventiamo troppo severi con gli altri, come successe a Davide:“Davide si adirò moltissimo contro quell’ uomo e disse a Natan: Com’è vero che il Signore vive, colui che ha fatto questo merita la morte; e pagherà quattro volte il valore dell’agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà. Allora Natan disse a Davide: Tu sei quell’ uomo!” (2 Samuele 12:5-7). Impariamo ed essere tolleranti con gli altri come lo siamo con noi stessi e, soprattutto, guardiamo agli altri ricordando che Gesù è morto anche per loro.
Buttiamo via la nostra gelosia e la nostra invidia
Dall’Enciclopedia Encarta 2000 traiamo alcuni sinonimi e significati di questi due vocaboli: sinonimo di gelosia è anche invidia, rivalità; significato d’invidia: “sentimento di rancore e astio per la felicità o le qualità degli altri”. La gelosia, che porta alla contesa, è sintomo di carnalità nella Chiesa. “Fratelli, io non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini in Cristo. Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate capaci di sopportarlo; anzi, non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali. Infatti, dato che ci sono tra di voi gelosie e contese, non siete forse carnali e non vi comportate come qualsiasi uomo?” (1 Corinzi 3:1-3). Invidia e gelosia sono dunque sentimenti negativi presenti in coloro che non gioiscono del bene e delle qualità altrui, bensì trovano motivi d’irritazione poiché vorrebbero tali beni e qualità per loro stessi. Non accettare la “misura della fede” che Dio ci ha assegnata, è mancanza d’amore e sottomissione al nostro Signore. Possiamo provare gelosia per il dono di una predicazione che ci mette in ombra, per una famiglia ordinata e sottomessa a Dio, per una profonda intesa fra due coniugi, per l’apprezzamento che altri fratelli ottengono. Sentimenti d’invidia e gelosia, tendenziosità, sospetto, presunte cattive intenzioni altrui, autocompiacimento, possono non trasparire all’esterno e quindi non generare contese e guai palesi, tuttavia possono ledere i rapporti tra la fratellanza e minare la nostra vita spirituale. Un interessante, quanto semplice, test per verificare il nostro “tasso” d’invidia, potrebbe essere il misurare il nostro “grado” di compiacimento per gli errori altrui. Iddio ci aiuti a guardare dentro di noi sinceramente e, qualora fosse necessario, chiediamoGli di liberarci da questi legami!
Buttiamo via la nostra ira e la nostra collera
Quest’ impeto dell’animo improvviso e violento rivolto contro qualcuno o qualcosa, quest’ infiammarsi, accendersi, avvampare, ardere d’ira non deve essere presente nella vita del credente. “Sappiate questo, fratelli miei carissimi: che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira; perché l’ira dell’uomo non compie la giustizia di Dio” (Giacomo 1:19-20). L’ira dell’uomo è sempre vista negativamente. Nella parabola del figliol prodigo, il fratello maggiore si adira e non vuole partecipare al banchetto d’onore: “Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. Ma egli rispose al padre: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato” (Luca 15:28-30). Gesù condanna sempre l’ira: “ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale” (Matteo 5:22). Anche ira e collera sono “cose da buttare”: “Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene” (Colossesi 3:8). Le parole di Efesini 4:26 “Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira” non esortano all’ira , significano piuttosto: mostrate sdegno, attenti, tuttavia, a non peccare e non rimanete in questa condizione: “Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria!” (Efesini 4:31). Frughiamo, dunque negli angoli più remoti della nostra vita, forse si è ammucchiata tanta spazzatura, allora senza remore: buttiamola via!