dalla predicazione del 28 agosto 2011, 11 settembre 2011, 18 settembre 2011, 02 ottobre 2011, 09 ottobre 2011
Lettura da 2 Cronache 20:1-30
Giosafat era un re buono, diverso da quasi tutti gli altri re. Egli riportò il popolo eletto nuovamente a Dio, alla vera adorazione. Il suo cuore era pulito, sincero e spirituale, volto a Dio. Era gradito ed approvato da Dio. Era un uomo di pace, poco avvezzo alla guerra. Quando i Moabiti, gli Ammoniti e gli Edomiti si coalizzarono per muovergli contro, ebbe gran paura. Anche noi quando attraversiamo un lungo periodo di tranquillità e di benedizioni, pensiamo che nulla ci possa toccare ed abbassiamo la guardia; in questo modo, senza rendercene conto, porgiamo il fianco al nemico delle anime nostre, che senza pietà, è sempre pronto ad attaccarci. Come Giosafat, anche noi, se minacciati, proviamo paura. Se è vero, come è vero che la paura trova la sua sede nel peccato, cioè dall’allontanamento da Dio, è pur vero che, la paura è, in certo qual modo, come un campanello d’allarme, che fa nuovamente scattare la nostra attenzione e concentrazione, necessarie a fronteggiare l’attacco. Tuttavia non dobbiamo mai farci sopraffare dalla paura; non dobbiamo permettere che si trasformi in cieco terrore. Non dobbiamo esserne troppo soverchiati da impedirci di lodare il Signore. Possiamo trovare coraggio nella Parola (II° Timoteo 1:7; I° Giovanni 4:18). E’ altresì buono fare esperienze con il Signore, affinché, nel momento dell’afflizione, possiamo ricordarle ed esserne incoraggiati (v.7). Nella Parola troviamo molti esempi di fede nel pericolo (II° Re 6:15-17; Atti 12:5;7-8, 11). Dobbiamo aprire gli occhi della fede e chiudere quelli della paura e della diffidenza. Quando siamo angosciati, reagiamo gridando a Dio il Suo intervento, senza considerare che, a volte, il Signore potrebbe permettere la nostra afflizione a scopo d’insegnamento. Questo ci porta ad allontanarci, a ribellarci, chiedendo solo di essere liberati. Talvolta, può accadere di non essere i diretti responsabili di quanto ci succede, ma lo siamo sempre delle reazioni. Prendiamo esempio da Giosafat: volgiamoci al Signore, non solo singolarmente, bensì anche come Chiesa, come Corpo di Cristo (v. 13), per combattere il nemico comune. Cerchiamo altresì di comprendere il significato della nostra sofferenza per trane esperienza ed insegnamento. Potremo così essere testimonianza vivente come Giobbe, del quale, dopo secoli, sentiamo quotidianamente parlare (Giobbe 42:5). Nell’afflizione siamo tentati di isolarci, facendo così il gioco del diavolo. Sebbene combattuti fra sentimenti contrastanti, sappiamo che lo Spirito Santo fa la differenza: i sentimenti tentano si abbassare Dio a noi, lo Spirito Santo eleva la nostra anima a Lui. La fede dovrebbe condizionare i nostri sentimenti, non viceversa.