Questo scritto inizia e termina con una preghiera. Questo è un invito per quanti amano Dio e desiderano piacergli. Nella vita cristiana noi tutti siamo coscienti che la preghiera è il fulcro di un rapporto personale con il nostro Signore. Attraverso la preghiera, non solo comunichiamo, bensì e soprattutto abbiamo comunione con Dio. Nel parlare con il Signore noi acquistiamo una dimensione straordinaria, riusciamo a sentire e a rispondere ad un’entità invisibile a occhio nudo ma, presente nello spirito, riceviamo rivelazioni nascoste alla nostra mente pur intelligente ma limitata. Pur essendo consapevoli di questa straordinaria facoltà, quanti di noi, nel quotidiano, spendono del tempo per incontrare Dio? Quanti si preoccupano di ricevere l’approvazione divina prima di prendere qualsiasi impegno, sia questo personale, comunitario o per un bisogno altrui? Neemia aveva dinanzi a sé la causa del Signore, egli aveva visto la sofferenza del popolo di Dio ed aveva servito disinteressatamente: infatti, per tutto il periodo in cui fu governatore di Gerusalemme, né lui, né quanti che erano con lui, presero per loro il compenso stabilito per legge: “Dal giorno in cui venni nominato governatore nel paese di Giuda, dal ventesimo anno fino al trentaduesimo anno del re Artaserse, per dodici anni, né io né i miei fratelli godemmo del compenso assegnato al governatore” (Neemia 5:14). Siamo noi così sensibili alle esigenze dei fratelli e così fedeli servitori come Neemia da rinunciare ad almeno una parte del nostro tempo, del nostro denaro, di noi stessi? Talvolta più facilmente adattiamo la Parola al nostro agire, piuttosto che sottomettere il nostro operare alla guida dello Spirito Santo. Neemia era integro e giusto, nelle sue preghiere, ed a motivare il suo “fare giusto” c’era la richiesta di ricevere non gloria e ricchezze, bensì bene e benignità. Ad una prima lettura, la petizione di Neemia, appare quasi arrogante, come se egli si sentisse in diritto di riscuotere un credito nei confronti di Dio: “O mio Dio, ricòrdati, per farmi del bene, di tutto quello che ho fatto per questo popolo” (Neemia 5:19). Approfondendo il testo, tuttavia, evinciamo una sincera umiltà in Neemia: “…ricòrdati di me, o mio Dio, e abbi pietà di me secondo la grandezza della tua misericordia!” (Neemia 13:22). Era approvato da Dio, in quanto aveva rallegrato il Suo cuore, avendo restaurato le mura di Gerusalemme:“Le mura furono portate a termine il venticinquesimo giorno di Elul, in cinquantadue giorni.” (Neemia 6:15) e ristabilito la vera adorazione al tempio: “perché in quelle stanze i figli d’Israele e i figli di Levi devono portare l’offerta di frumento, di vino e d’olio; là sono gli utensili del santuario, i sacerdoti che fanno il servizio, i portinai e i cantori. Noi ci siamo così impegnati a non trascurare la casa del nostro Dio” (Neemia 10:39), senza cedere alle tentazioni. Quattro volte, infatti, rifiutò l’invito di Samballat, Tobia e Ghesem. Confrontiamo la qualità del nostro servizio cristiano con quanto esposto nel testo biblico: “Io sto facendo un gran lavoro, e non posso scendere. Il lavoro rimarrebbe sospeso se io lo lasciassi per scendere da voi” (Neemia 6:3). Possiamo pertanto, ben considerare Neemia un ottimo modello di “santo” nella sua più squisita accezione etimologica: “appartato per un servizio al Signore” e farlo nostro. Preghiamo il Signore Gesù affinché ci dia la saggezza necessaria per condurre la nostra vita secondo il Suo insegnamento. Dio continui a benedire tutto il Suo popolo!
Marilena Mangeruca
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