Tenteremo di esaminare gli obblighi finanziari alla luce delle Scritture, con l’intento di evitare di contrarre impegni finanziari che possano diventare troppo onerosi e trasformarsi così in vere e proprie trappole. L’amministrazione dei beni è un aspetto del servizio cristiano. Tutto ciò che disponiamo appartiene a Dio: “All’Eterno appartiene la terra, e tutto ciò che è in essa, il mondo e i suoi abitanti” (Salmo 24:1). Perciò non siamo proprietari, bensì amministratori, e non una quota parte, bensì tutto deve essere utilizzato secondo la Sua volontà per la Sua gloria.
Le proprietà che possediamo
I credenti necessitano che lo Spirito Santo rinnovi il loro senso dei valori. Una buona amministrazione del denaro e dei beni familiari sarà foriera di un buon andamento della famiglia e sarà d’esempio per i figli. Qualunque bene che la famiglia possiede deve essere a disposizione discrezionale di tutti i membri. E’ buono insegnare fin da piccoli ai figli a condividere i giocattoli e i piccoli risparmi, sollecitandone l’occasione di poterlo fare. I genitori devono anche preparare la famiglia a ripartire in modo appropriato il patrimonio fra coloro che rimarranno, quando uno dei congiunti sarà chiamato a casa dal Signore, evitando così il presentarsi di dispute a causa dell’eredità.
Anche in questo caso la Parola ci sovviene, portandoci alcuni esempi: “Or Isacco amava Esaù perché la cacciagione era di suo gusto, Rebecca, invece, amava Giuseppe” (Genesi 25:28); “Or Israele amava Giacobbe più di tutti gli altri figli, perché era figlio della sua vecchiaia, e gli fece una veste lunga fino ai piedi” (Genesi 37:13); “E voi padri non provocate ad ira i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’ammonizione del Signore” (Efesini 6:4). Trattare in modo diverso i figli provoca ira. Nell’episodio dei due fratelli che, litigando tra loro per la divisione dell’eredità (in Palestina all’epoca dei fatti la legge imponeva che in una famiglia di due figli, al primogenito spettassero i due terzi del patrimonio ed al secondo il rimanente terzo), Gesù, sottolinea il peccato di avidità, senza entrare nel merito della diatriba familiare: “Poi disse loro: fate attenzione e guardatevi dall’avarizia, poiché la vita di uno non consiste nell’abbondanza delle cose che possiede” (Luca 12:15). Il materialismo non è riservato solamente a questa presente generazione. Gesù, già ai Suoi giorni, suggeriva di farsi dei tesori in cielo, piuttosto che accumular ricchezze terrene, che possono essere distrutti, consumati o derubati: “E disse loro questa parabola: la campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente. Egli ragionava così, fra sé: Che farò poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: questo farò, demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, (…) Ma Dio disse: stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata, e quello che hai preparato di chi sarà? Così e di chi accumula tesori per sé, e non è ricco davanti a Dio” (Luca 12:16-21). Paolo insegna a Timoteo che la pietà con animo contento val più di ogni abbondanza materiale. Infatti, nulla abbiamo portato su questa terra e nulla possiamo portar via (I Timoteo 6:6-7). Ciò premesso, nulla può portare in cielo un genitore, se non sforzarsi di indicare il cielo ai propri figli (Giobbe 40:10,13). Piuttosto che lavorare troppo per accumulare patrimoni ingenti per i propri figli, un buon genitore cristiano insegnerà loro a provvedere a se stessi e ad essere generosi con gli altri, vivendo una vita veramente cristiana. Cercando ricchezze, possiamo cadere in comportamenti sbagliati ed in trappole tentatrici architettate ad arte per sedurci, che possono portarci a situazioni precarie se non addirittura alla rovina. E ci rendiamo conto troppo tardi delle conseguenze. Sfuggiamo dunque il materialismo e cerchiamo ciò che è buono e giusto. Abbiamo fiducia, amiamo gli altri e siamo pazienti e gentili.
Gli impegni che assumiamo
“Cercate prima il regno di Dio e la Sua giustizia e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte. Non siate dunque in ansia per il domani…” (Matteo 6:33-34). Se mettessimo in pratica queste parole dette da Gesù, non saremmo ansiosi per la nostra vita, ma la vivremmo giorno dopo giorno. La Scrittura mette in guardia frequentemente contro la cupidigia, cioè il bramare ciò che un altro possiede. Dio dà precise indicazioni contro questo peccato in Esodo 20:17: “Non desiderare la casa del tuo prossimo, non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo”. L’avidità non è quasi mai un fenomeno immediato, piuttosto si sviluppa in modo subdolo, e si evidenzia nella sua completezza, solo quando le sue conseguenze negative si palesano. Ancora una volta la Parola ci porta esempi significativi. Eva e Acan sono vittime di questo processo: “La donna vide che l’albero era buon per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò. (..) e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio, il Signore fra gli albero del giardino.” (Genesi 3:6-8). “Ho visto fra le spoglie un bel mantello di Scinear, duecento sicli d’argento e una sbarra d’oro del peso di cinquanta sicli; ho desiderato quelle cose e le ho prese, ecco sono nascoste in terra in mezzo alla mia tenda e l’argento è sotto” (Giosuè 7:21). Talvolta accade che quando ci rendiamo conto di aver peccato, tendiamo a “dividere” la responsabilità dei nostri atti con qualcun altro, nel vano tentativo di ripartire anche le conseguenze negative che ne derivano. Tuttavia non possiamo farci beffe del Signore: “Non v’ingannate, non ci si può beffare di Dio, perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà” (Galati 6:7). Il peccato di avidità inizia solitamente con un “innocente sguardo” verso ciò che l’altro possiede. Quasi inconsapevolmente assume il carattere di desiderio che può crescere fino a diventare invidia e trasformarsi in meditazione ed esecuzione di un piano diabolico per ottenere l’oggetto del desiderio. Se non riusciamo ad interrompere questo processo mentale, il passo tra pensiero e comportamento sarà breve e le conseguenze saranno ben presto evidenti e negative: “Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre, quanto quella del figlio; chi pecca, morirà” (Ezechiele 18:4). Tutti ricordiamo quali pesanti ripercussioni dovette subire Davide per aver desiderato ed avuto Bat-Sceba (II Samuele cap. 11-12). La Scrittura è chiara e ferma: non concupire, non rubare. Se da un lato, ammirare quello che l’altro possiede non è di per sé sbagliato, dall’altro, desiderarlo eccessivamente, può portare al furto. Nell’ambito familiare è necessario aver ben compreso tutto ciò prima del matrimonio. Una giovane coppia, infatti, non può aspettarsi di iniziare la propria vita coniugale disponendo degli stessi beni, che i propri genitori possono aver accumulato nel corso di una vita, né essere schiava di confronti con altre coppie. Piuttosto deve far tesoro di Filippesi 4:11: “…ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo” e programmare oculatamente ogni progetto futuro. Alla luce di quanto sin qui esposto, è dunque importante valutare con la massima attenzione la possibilità di richiedere prestiti e/o impegnarsi in finanziamenti. Se da un lato la facilità di ottenere credito presso gli istituti bancari e finanziari può indurre ad esporsi, dall’altro è necessaria se non addirittura indispensabile, una responsabile pianificazione delle spese, affinché si eviti un indebitamento sproporzionato rispetto alle entrate di cui la famiglia può disporre, situazione, questa, che potrebbe minare l’armonia familiare. Ricorriamo nuovamente alla Parola di Dio per riconfermare il nostro assunto: “Il ricco domina sui poveri, e chi prende in prestito è schiavo di chi presta.”; “Non essere di quelli che che dan la mano, che danno cauzione per debiti, Se non hai di che pagare, perché esporti a farti portar via il letto?” (Proverbi 22:7; 26-27). Se per la generazione dei nostri genitori e nonni “fare le cambiali” per poter acquistare un bene, era motivo di vergogna, oggigiorno, acquistare a rate è considerato assolutamente normale, quasi sciocco non farlo…!!! Tuttavia, proprio questa apparente semplicità, è in realtà una superficialità che può risultare infine pericolosa, se non addirittura distruttiva per l’amministrazione familiare. La famiglia cristiana ha, tuttavia, la responsabilità di onorare gli impegni presi e saldare gli eventuali creditori; così facendo, onora prima di tutto Dio, poi se stessa, e dà una buona testimonianza alle persone con cui interagisce.
Le benedizioni che ricambiamo
Considerare il denaro una maledizione (I Timoteo 6:10; II Timoteo 3:2, Ebrei 13:5) oppure una benedizione (Salmo 112:3; Proverbi 3:9; Atti 4:34-35), dipende da quale posto gli assegniamo nel nostro cuore. Se, come espresso nell’introduzione di questa riflessione, teniamo ben presente che tutto ciò che abbiamo appartiene al Signore (Salmo 24:1), potremo avere la giusta prospettiva della vita. Ci risulterà dunque facile glorificare il Signore per la quota di prosperità che ci ha assegnato ed insegneremo ai nostri figli ad essere grati. Piuttosto che paragonare il nostro bene con quello degli altri, porgendo il fianco a sentimenti d’invidia (Salmo 73:3), non degni di un cristiano, riconosciamo e non dimentichiamo mai la benedizione del nostro Signore e Gliene rendiamo ringraziamento. In occasione dell’ abbondante raccolta accumulata per la costruzione del tempio, mosso da profonda gratitudine, Davide si esprime in questo modo: “Poiché chi sono io, e chi è il mio popolo che siamo in grado di offrirTi volenterosamente così tanto? Poiché tutto viene da Te e noi Ti abbiamo dato quello che dalla Tua mano abbiamo ricevuto” (I Cronache 29:14). A questo siamo dunque chiamati, all’amministrazione: a sovraintendere ed essere responsabili della buona gestione dell’Altrui proprietà. Anche Paolo ci esorta in questo senso: “Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele”(I Corinzi 4:2). Taluni pensano che sia sufficiente dare una parte dei loro guadagni al Signore, riservandone la quota maggiore per sé. Non così dice tuttavia la Scrittura. Se è vero come è vero che “tutto” appartiene al Signore, il nostro servizio è valutato in toto, in termini di tempo, energie e risorse, e non solo rispetto alla porzione che, arbitrariamente, decidiamo di consacrarGli. Nell’ambito familiare, i genitori saranno d’esempio ai figli, insegnando ai bambini a rispettare sia quanto posseggono, sia ciò che appartiene agli altri, procacciando occasioni di sperimentare quanto appreso, affinché crescendo, una volta divenuti giovani, sapranno fondare la loro nuova famiglia su solide basi non solo finanziarie, ma soprattutto pienamente cristiane. Non dobbiamo infine sottovalutare il comando di Dio circa le decime e le offerte, che fa parte del Suo piano per finanziare la Sua opera. Non ottemperare a tale comando, significa, senza mezzi termini, derubare Dio “L’uomo può forse derubare Dio? Eppure voi mi derubate! Ma voi dite: in che cosa ti abbiamo derubato? Nelle decime e nelle offerte” (Malachia 3:8-9).
Considerazioni finali
Se per ogni persona applicare con discrezione e saggezza le regole dell’economia è fonte di tranquillità, per ogni buon cristiano l’integrità circa averi e finanze è fondamentale per una testimonianza efficace. La Scrittura ci offre molti insegnamenti circa la buona amministrazione e ci mette in guardia delle conseguenze negative dell’avidità, suggerendoci di esercitare autocontrollo personale, disciplina, sapienza e di stilare un rigido programma di gestione dei nostri averi. Sebbene i beni di questa vita siano transitori, il motivo per cui un cristiano guadagna è legato ala generosità che dimostra verso quanti sono nel bisogno. Dare liberamente e con gioia decime e offerte, significa dimostrare concretamente a Dio che Gli riconosciamo la totale sovranità su di noi e su quanto disponiamo.