La Lettera di Paolo ai Filippesi
Per comprendere meglio il messaggio rivolto dall’Apostolo Paolo a questa chiesa, è necessario comprenderne prima il carattere e l’ambiente geografico, storico, morale e spirituale in cui il messaggio stesso è stato predicato.
Le origini
Filippi prende il nome dal suo conquistatore Filippo II il Macedone, padre di Alessandro Magno, nel 356 a.c. Anticamente si chiamava Krenedis (LE SORGENTI) ed era una città molto ricca di giacimenti d’oro e di argento, per questo motivo fu sempre una città ambita da ogni condottiero straniero. La città cadde nelle mani dei Romani intorno al 168 a.c. e nel 42 divenne palcoscenico della battaglia combattuta da Ottaviano e Antonio contro Bruto e Cassio, gli assassini di Cesare. Atti 16:11-12 “Perciò, salpando da Troas, tirammo diritto, verso Samotracia, e il giorno seguente verso Neapoli, e di là ci recammo a Filippi, che è città primaria di quella parte della Macedonia, ed è colonia romana; e dimorammo in quella città alcuni giorni.”
Dove si trovava Filippi
Era una città macedone (attuale Grecia) e distava circa 15 km dal mare Egeo, vicina ai confini con l’attuale Bulgaria e Turchia. Ai tempi era un centro nevralgico commerciale ed economico di notevole importanza, per la sua posizione strategica di vicinanza al mare e come via di comunicazione tra l’occidente ed il medio oriente. I viandanti e commercianti che provenivano dalla regione bizantina per andare in Italia, attraverso la Macedonia, dovevano per forza transitare da Filippi. La Via Ignazia percorreva tutta la regione per collegarsi, via mare, alla famosa via Appia.
La cultura e la religione
Città macedone, di cultura greca, amante del bello e dello sfarzo, ospitava cittadini provenienti da tutto il mondo, di estrazioni culturali e religiose cosmopolite. Inoltre, essendo annessa all’Impero di Roma ne acquisì l’orgoglio e la folle ambizione espansiva. Era abitata da Romani avventizi e coloro che nascevano in Filippi si potevano considerare di tale cittadinanza. Città pagana e corrotta nella quale Paolo trova un suolo arido per la proclamazione del Vangelo, ma Dio aveva posato il Suo benigno sguardo su questa città per preparare un perfetto scenario per il decollo della Buona Novella tra i Macedoni Atti 16:9-10 “E Paolo ebbe di notte una visione: Un uomo macedone gli stava dinanzi, e lo pregava dicendo: Passa in Macedonia e soccorrici. E com’egli ebbe avuta quella visione, cercammo subito di partire per la Macedonia, tenendo per certo che Dio ci avea chiamati là, ad annunziar loro l’Evangelo.”
Data e luoogo della lettera
L’epistola fu scritta da Paolo intorno all’anno 62 d.c. quando era agli arresti domiciliari a Roma. Si trovava col suo fedele amico e “diletto figliuolo” Timoteo e la inviò per ringraziare i Filippesi per il dono in denaro che aveva ricevuto tramite Epafròdito e per rassicurarli della salute di quest’ultimo Filippesi 2:25-28 “Però ho stimato necessario di mandarvi Epafròdito, mio fratello, mio collaboratore e commilitone, inviatomi da voi per supplire ai miei bisogni, giacché egli avea gran brama di vedervi tutti ed era angosciato perché avevate udito ch’egli era stato infermo. E difatti è stato infermo, e ben vicino alla morte; ma Iddio ha avuto pietà di lui; e non soltanto di lui, ma anche di me, perch’io non avessi tristezza sopra tristezza.”
Costituzione della Chiesa
La chiesa nasce a seguito di una visione data all’Apostolo mentre si trovava a Troas, nel corso del suo secondo viaggio missionario. Siamo nell’anno 52 d.c. e l’Apostolo, dopo aver attraversato la Siria e la Cilicia, giunge nella regione della Pisidia e visitata Derba, entra in Listra. Qui incontra un giovane, figlio di una Giudea di nome Eunice e di un Greco. La fede “non finta” della mamma e della nonna Loide avrà una grande influenza sul giovane Timoteo. Paolo è attratto dalla semplicità e dalla potenzialità del giovane e decide di portarlo con sé. I due amici attraversano Antiochia e giungono a Troas. Nei programmi di Paolo non vi è la visita in Macedonia ma, ubbidiente allo Spirito Santo, ritenendo per certo che li voleva là, i due compagni partono, navigano lungo il Mar Egeo e approdano a Neapoli Atti 16:11 “Perciò, salpando da Troas, tirammo diritto, verso Samotracia, e il giorno seguente verso Neapoli.” Sicuramente l’Evangelo sarà stato predicato in questa città ma Luca non ce lo riporta. Abbiamo, però alcuni dettagli di come la Buona Novella si diffuse in Filippi. Solitamente Paolo, entrando in una città, si recava speditamente in una Sinagoga in cui si leggeva la Torah, e prendendo spunto da essa predicava Cristo. In Filippi, pur essendoci alcuni Giudei, non c’era la Sinagoga e Paolo, dopo essersi accuratamente informato si reca preso il fiume, luogo in cui delle donne ed altri andavano ad adorare. Qui conosce Lidia, commerciante di porpora. La scintilla, che poi si trasformerà in un caldo fuoco, è stata accesa. Avremo modo di parlare della serva dalla quale l’Apostolo esorcizzò lo spirito indovino e dell’esperienza nelle galere della città. C’è da notare che Paolo soffrì molto in questa città, ma questo non gli impedì di nutrire grande affetto per la chiesa. Una chiesa, come vedremo, semplice, amabile, sensibile, ubbidiente e sottomessa. Una chiesa da imitare.
Prologo
Il carattere della lettera è confidenziale, pastorale. E’ un padre spirituale, provato, attempato e prossimo al martirio che scrive a dei fratelli in fede. Molto diversa dalla lettera ai Galati nella quale si evidenzia il disappunto dell’Apostolo per le tristi notizie che aveva ricevuto. Non è simile alla lettera ai Romani, nella quale l’Apostolo esprime tutta la sua maturità dottrinale e neppure all’epistola ai Corinzi, perché contiene apologie della sua persona e della dottrina cristiana. Potrebbe richiamare le lettere ai Tessalonicesi, ma in queste c’è l’impegno dell’Apostolo a chiarire la dottrina del ritorno di Gesù, argomento che non avevano compreso molto bene. Insomma, il tono con cui si rivolge ai Filippesi è personale, intimo, confidenziale, pieno d’amore e di stima. Non è forse ciò che il nostro Signore Gesù chiede ai Suoi? Giovanni 13:35 “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.”
Capitolo 1
L’introduzione della lettera è di tipo tradizionale, ovvero come anche noi siamo abituati a scrivere quando vogliamo intrattenere un contatto epistolare con qualcuno che ci è caro. Egli non ha bisogno di mantenere le distanze per esigere il rispetto come fa con i Galati. Ad eccezione dei Tessalonicesi, in tutte le altre epistole egli deve specificare la sua autorità di apostolo, chiamato da Cristo. Con i Filippesi non c’è bisogno, Egli si presenta come “servo” e questo termine cancella ogni formalità, instaurando subito una relazione di simpatia e condivisione.
Paolo e Timoteo: Sebbene di gran lunga superiore nella conoscenza, nell’età, nell’esperienze, nelle fatiche e nelle lotte, l’Apostolo presenta il “suo figlio diletto” a par suo. Nella chiesa siamo tutti uguali, non vi è differenza di persone Giacomo 2:1-5 “Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signor Gesù Cristo, il Signor della gloria, sia scevra da riguardi personali. Perché, se nella vostra radunanza entra un uomo con l’anello d’oro, vestito splendidamente, e v’entra pure un povero vestito malamente, e voi avete riguardo a quello che veste splendidamente e gli dite: Tu, siedi qui in un posto onorevole; e al povero dite: Tu, stattene là in piè, o siedi appiè del mio sgabello, non fate voi una differenza nella vostra mente, e non diventate giudici dai pensieri malvagi? Ascoltate, fratelli miei diletti: Iddio non ha egli scelto quei che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del Regno che ha promesso a coloro che l’amano?” L’Apostolo aveva un bellissimo rapporto con sé stesso, non si sopravalutava e nemmeno si sottovalutava. Riconosceva di essere il tempio di Dio, l’opera dello Spirito Santo che stava operando in un “vaso” debole e fragile. Aveva imparato ad avere un concetto di sé sobrio ed equilibrato: Romani 12:3 “Per la grazia che m’è stata data, io dico quindi a ciascuno fra voi che non abbia di sé un concetto più alto di quel che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura della fede che Dio ha assegnata a ciascuno.” Quindi non era difficile per l’Apostolo dare valore a quanti erano usati dallo Spirito Santo per la gloria di Dio. Il Signore ci aiuti ad avere rispetto e stima reciproche, prendendo in considerazione non tanto il valore umano che rappresentiamo ma l’opera che Cristo compie in ciascuno di noi.
Servitori: E’ triste vedere come l’uomo ricerchi l’onore e pretende il rispetto dei suoi simili attraverso titoli onorifici. La gente che vive con lo spirito di questo mondo è proiettata, quasi angosciata, al raggiungimento di riconoscimenti umani. Spesse volte è causa di litigi, divisioni e sopraffazioni. Questo non deve esistere tra i cristiani. Anche Gesù ci invita ad avere un concetto adeguato alla nostra chiamata: Luca17:10 “Così anche voi, quand’avrete fatto tutto ciò che v’è comandato, dite: Noi siamo servi inutili; abbiam fatto quel ch’eravamo in obbligo di fare.” In altra occasione l’Apostolo si definisce come l’aborto: I Corinzi 15:8 “… e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto.” Vero è che siamo re, principi e che Dio ci ha eletti ad essere un real sacerdozio; Gesù ci chiama amici, per fede siamo divenuti eredi di Dio e coeredi con Cristo, ma non per fini egoistici o per vanagloria. Ricordiamoci sempre che senza la Sua presenza, il Suo Spirito che opera in noi, non saremmo nulla Giovanni 15:5 “Io son la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla.”
Di Cristo Gesù: l’Apostolo rimarca chi è il suo padrone. Egli è servo di Gesù Cristo, non degli uomini (anche se il servizio è a beneficio della chiesa), non di una denominazione (anche se è necessario vivere insieme, chiesa significa ASSEMBLEA) e neppure di sé stessi. Ebrei 13:3 “Ricordatevi de’ carcerati, come se foste in carcere con loro; di quelli che sono maltrattati, ricordando che anche voi siete nel corpo. Matteo 25:39-40 “Quando mai t’abbiam veduto infermo o in prigione e siam venuti a trovarti? E il Re, rispondendo, dirà loro: In verità vi dico che in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me.”
A tutti i santi in Cristo Gesù: Sebbene Filippi era una chiesa semplice e devota, era molto lontana dall’essere definita “santa”. Il termine “Santo” significa appartato dal mondo e consacrato a Dio ed è un processo che si sviluppa nel tempo, in funzione dell’opera dello Spirito Santo. Qui l’Apostolo non vuole indicare una virtù ma uno “stato giuridico”, un privilegio spirituale nel quale il credente si trova, non per i suoi meriti ma per l’effetto del perdono ricevuto da Cristo sulla croce Colossesi 2:13-14 “E voi, che eravate morti ne’ falli e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Egli ha vivificati con lui, avendoci perdonato tutti i falli, avendo cancellato l’atto accusatore scritto in precetti, il quale ci era contrario; e quel atto ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce.”
Con i vescovi e i diaconi: Chi sono i vescovi e chi sono i diaconi. I primi sono i “sorveglianti, sovrintendenti” cioè coloro che hanno il compito di vegliar sulla chiesa, pastori che sono responsabili del gregge di Dio. Oggi li chiameremmo proprio “pastori” o “anziani” Tito 1:5 “Per questa ragione t’ho lasciato in Creta: perché tu dia ordine alle cose che rimangono a fare, e costituisca degli anziani per ogni città, come t’ho ordinato” uomini che hanno ricevuto il ministero direttamente da Gesù per il perfezionamento dei santi, per l’edificazione della chiesa, Efesini 4:11-12 “Ed è lui (Gesù) che ha dato gli uni, come apostoli; gli altri, come profeti; gli altri, come evangelisti; gli altri, come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministerio, per la edificazione del corpo di Cristo”. I diaconi sono dei servitori, ovvero coloro che svolgono lavori pratici (ma non meno importanti o spirituali), dediti all’amministrazione e gestione della chiesa. Ogni bisogno di natura pratica veniva valutato e soddisfatto da uomini di preghiera e ripieni di Spirito Santo: Atti 6:3-4 “Perciò, fratelli, cercate di trovar fra voi sette uomini, de’ quali si abbia buona testimonianza, pieni di Spirito e di sapienza, e che noi incaricheremo di quest’opera. Ma quanto è a noi, continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministerio della Parola.” Essi devono presentare alcune vincolanti caratteristiche: I Timoteo 3:8-13 Parimente i diaconi debbono esser dignitosi, non doppi in parole, non proclivi a troppo vino, non avidi di illeciti guadagni; uomini che ritengano il mistero della fede in pura coscienza. E anche questi siano prima provati; poi assumano l’ufficio di diaconi se sono irreprensibili. Parimente siano le donne dignitose, non maldicenti, sobrie, fedeli in ogni cosa. I diaconi siano mariti di una sola moglie, e governino bene i loro figliuoli e le loro famiglie. Perché quelli che hanno ben fatto l’ufficio di diaconi, si acquistano un buon grado e una gran franchezza nella fede che è in Cristo Gesù. Or in Filippi vi erano più pastori e diaconi, il che significa che la chiesa era cresciuta repentinamente sia numericamente che spiritualmente. Ogni credente dovrebbe essere coinvolto in un lavoro spirituale, cercando e alimentando una vocazione o impegnarsi a svolgere una funzione di diaconato. La chiesa cresce in virtù di un corale impegno in cui ogni componente esprime i doni dello Spirito Santo, i naturali talenti, le proprie energie e disponibilità, nella misura della propria fede: Efesini 4:16 “Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore d’ogni singola parte, per edificar se stesso nell’amore.”
Grazia e pace da Dio nostro Padre e dal Signori Gesù Cristo: Generalmente, quando introduciamo una lettera ci interessiamo alla salute dei nostri destinatari, chiediamo notizie in merito agli sviluppi famigliari, del lavoro, degli affari, per l’Apostolo queste informazioni, seppur importanti, passano in secondo piano. Egli ritiene prioritario avere la grazia e la pace di Dio. La Grazia è la manifestazione dell’amore di Dio nell’elargire al peccatore il perdono senza che esso possa o debba meritarlo. Dio ha misericordia del peccatore che, non riuscendo ad affrancarsi dal dominio del peccato, gli offre la possibilità di ottenere libertà attraverso il sacrificio della croce di Gesù Galati 5:1 “Cristo ci ha affrancati perché fossimo liberi; state dunque saldi, e non vi lasciate di nuovo porre sotto il giogo della schiavitù!” La Pace (che sopravanza ogni forma di intelligenza) è un dono che Gesù, il Principe della pace, offre a quanti credono e confidano in Lui: “Giovanni 14:27 Io vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.” Ma esso è anche una delle manifestazioni del frutto dello Spirito: Galati 5:22 “Il frutto dello Spirito, invece, è amore, allegrezza, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza”; che conferma la pienezza nella terza persona della Trinità. Essa, una volta posseduta, deve essere procacciata, esercitata e condivisa con altri, affinché possiamo menare una vita di pace. Efesini 4:3 “… studiandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace.”