Lettura da Filippesi 1:27-30
Il peccato umilia, mortifica, offende, reprime, soffoca, schiaccia, deprime la dignità dell’uomo costringendolo ad un comportamento simile agli animali. La Bibbia non pone veli dinanzi agli effetti deleteri del peccato che inibiscono la rispettabilità e la stima di un uomo. Cosa dire in merito al comportamento di Esaù (Genesi 25:32), del popolo d’Israele nel deserto (Numeri 11:5) e di Saul (I Samuele 15:26), solo per citarne alcuni? Davide stesso, l’uomo “secondo il cuore di Dio”, si rese talmente brutale che dovette anelare per ristabilire la presenza di Dio nella sua vita (Salmo 51:14). In questo brano l’Apostolo ci esorta a mantenere un comportamento degno, consono alla chiamata che Dio ci ha rivolti come cristiani. Nessuno escluso. Tutti, ministri o semplici credenti, devono comportarsi conformemente alla vocazione regale che gli è stata assegnata (I Pietro 2:9). Mantenere tale titolo regale non è cosa facile. Prima di tutto dobbiamo esserne consapevoli, realizzare per fede a quale prezioso lignaggio Dio ci ha elevato. Siamo figli di Dio, eredi Suoi e coeredi di Cristo (Romani 8:17), quindi concentrare tutte le nostre energie e tutto ciò che è in nostro potere per mantenere l’orgoglio di essere chiamati Cristiani. Dignità che non si limita alla persona singola ma che si espande a tutta la Chiesa, tramite l’unità e la fermezza nella lotta. Al fine di ottenere questo, ecco le esortazioni dell’Apostolo:
Fermi in uno stesso spirito
Per “spirito”, qui non si intende lo Spirito Santo, bensì si riferisce al sentimento comune a ricercare una linea di condotta spirituale al fine di perseguire e raggiungere obiettivi comuni. Obiettivi spirituali tesi a esaltare il nome del Signore, in prim’ordine e, secondariamente, ma non di importanza inferiore, l’edificazione della Chiesa, il Corpo di Cristo. In questo contesto, non si possono manifestare personalismi ed egocentrismi. Tutti, animati dallo stesso spirito, proiettati a far risaltare la grandezza e la maestà di Cristo nel mezzo di un popolo debole e fragile, tuttavia unito dall’amore. Vediamo come: Liturgia del culto (I Corinzi 12:11-12); Ricerca e manifestazione dei doni (I Corinzi 1:5-7); Discernimento degli spiriti: uniti nella conduzione e nella disciplina (Galati 2:4); Incoraggiamento spirituale (Galati 6:1); Evangelizzazione (Romani 1:16); Procacciare la pace, evitando discordie, divisioni, settarismi, gelosie, invidie (Ebrei 12:14).
Combattere insieme con un medesimo animo
Per raggiungere questo alto obiettivo dobbiamo combattere, soffrire se necessario, insieme. Pur di pareri diversi ma uniti negli obiettivi finali. Non uno contro l’altro perchè il nemico è fuori e non dentro. Nella disunione, la testimonianza di Cristo è inficiata. Il mondo osserva la Chiesa (spesso solo per criticare) e la cattiva testimonianza danneggia l’opera di Cristo. La cattiva testimonianza del singolo ferisce, mutila, offende tutta la Chiesa e ci fa apparire come una setta religiosa, fanatica ed opportunista (I Pietro 2:12, Filippesi 2:15).
Non temere gli avvresari
La storia di Israele ci riporta il “miracolo” della ricostruzione delle mura di Gerusalemme ad opera di Nehemia (6:15), in soli cinquantadue giorni. Un miracolo realizzato anche in virtù dell’unità e coesione dei guerrieri lavoratori che, sotto la guida di Nehemia, seppero riedificare le mura e nel contempo contrastare i nemici. Samballat, re della confinante Samaria e storico nemico dei Giudei, insieme con altri “disturbatori”, tentò di deprimere il popolo di Nehemia con illazioni, minacce e provocazioni (2:19). Il condottiero, alla testa del suo fedele popolo, seppe resistere e ben presto i nemici furono svergognati (4:1). La vittoria che Gesù ha conquistato sulla croce per noi, si rende possibile anche in virtù della nostra unità. Come Chiesa di Dio saremo oggetto degli attacchi del nemico. Egli userà tutti gli stratagemmi per indurci alla resa, ma, sin dall’inizio, sa che, la vittoria finale è nostra in virtù di Colui che ha l’autorità sopra ogni cosa. La sua unica speranza di vincere è minacciando la nostra resistenza. Lo scoraggiamento, la pigrizia, la critica perniciosa, ed altri atteggiamenti simili indeboliscono lo zelo spirituale. Resistiamo al diavolo ed egli fuggirà da noi (I Pietro 5:8-9).
Chiamati a credere e a soffrire per la causa di Cristo
E’, questo, un aspetto poco invitante dell’essere Cristiani. Nessuno vorrebbe soffrire, ma la sofferenza è condizione essenziale del credere in Cristo. Naturalmente non si tratta di patologia derivante da agenti patogeni, ma da una condizione di contrasto con ciò che è generalmente ritenuto “normale” dal mondo. Gesù lo ha detto: “Nel mondo avrete tribolazione” perchè “non siamo del mondo ed il mondo ci ha odiati” (Giovanni 16:33, Giovanni 17:14). Viviamo con orgoglio la nostra “diversità”, rallegrandoci anche perchè Dio ci ritiene degni di soffrire per la causa di Cristo (Atti 5:41).