3. IL MINISTERO DELLA SOFFERENZA Cap. 1: 2 – 4

Immagine1

Giacomo affronta immediatamente l’universale argomento della “prova”, quasi a voler sgomberare il campo da ogni giustificazione o scusante per quanto si accinge ad esporre.

Talvolta la sofferenza è usata come una sorta di alibi per scrollarci dalle spalle le nostre responsabilità, ritenendo le nostre debolezze come ostacolo legittimo all’azione della santificazione dello Spirito Santo. Ben diversa è la posizione dell’Apostolo Paolo che riteneva la sua debolezza fonte di ricchezza e vittoria di Gesù II Corinzi 12:9 … ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su me.

2. IL MITTENTE E I SALUTI Cap. 1:1

GiacomIMM 2o, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”. Quale migliore ed eloquente presentazione di un ministro di Dio! Egli si ritiene un servo, sebbene legato da un rapporto di parentela col Signore Gesù. Non avanza alcuna pretesa, mostra sottomissione e umiltà, un operaio al quale è stato affidato il compito di trasmettere il Messaggio alle “dodici tribù disperse nel mondo”. Si suppone che ai tempi di Giacomo circa quattro milioni di Giudei (di nazionalità) componevano la “diaspora”; l’Apostolo non si rivolge solo a loro, sebbene indichi il numero dodici, come totalità del popolo israelita. No, egli si rivolge ai Giudei-Cristiani che, iniziando dal giorno di Pentecoste, si erano convertiti all’Evangelo e che, a motivo di diverse persecuzioni, si erano rifugiati in tutte le parti del mondo. Un messaggio che non ha limiti di spazio, di tempo e di efficacia. Un messaggio che ha raggiunto anche la chiesa del XXI secolo. Un messaggio per tutti noi!

1. EPISTOLA DI GIACOMO L’autore

Immagine1

Alcuni commentatori attribuiscono la paternità dell’epistola a Giacomo, fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo (uno dei fratelli Boanerges). Ipotesi non sostenibile in quanto fu messo a morte da Erode Agrippa nel 44 (Atti 12:1-2). All’epoca la chiesa viveva ancora “lo zelo del primo amore” e non presentava ancora le problematiche descritte nell’Epistola.

Altri sostengono che si tratti del cugino di Gesù, Giacomo d’Alfeo detto il Piccolo, uno dei dodici discepoli. Ma non vi sono prove che avallino questa teoria anche perché, sembra, non godesse di grande autorità tra i giudei-cristiani.

È, invece, molto probabile che l’autore fosse il fratello maggiore di Gesù (secondogenito di Maria) il quale, secondo una tradizione, si sia convertito all’apparizione di Gesù dopo la resurrezione.