7. FACITORE O SEMPLICE UDITORE? Cap. 1:22-25; Cap. 2:14-26

Immagine1In questa sezione, l’Apostolo Giacomo apre un argomento abilmente speculato da alcune religioni che pretendono di conquistare la vita eterna con le opere meritorie “Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore (cap. 2:20)?” Quest’affermazione, a chi superficialmente vuole sostenere tale teoria, sembra dargli ragione. In realtà non annulla l’efficacia della fede ai fini della salvezza ma che senza le opere la fede risulta vuota, senza alcun effetto nella vita quotidiana. Infatti, Giacomo nel v. 25, riferito a colui che non è solo uditore bensì facitore, lo definisce “beato NEL suo operare e non PER il suo operare”, ovvero, trova la felicità e la conferma della vita eterna in quanto la realizza NEL suo quotidiano.

6. DANNI CAUSATI DA UNA LINGUA (TROPPO) LIBERALE – Cap. 1:19-21 e Cap. 3:1-12

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Conosciamo l’atteggiamento pragmatico e realistico di Giacomo, specialmente quando si tratta di compiere e portare a termine il servizio a Dio. In questi versi l’Apostolo tende a combattere l’ipocrisia di chi vuole fare il “maestro” a danno degli altri e l’importanza di vivere eticamente la fede in Gesù. Era attitudine peculiare delle autorità religiose dell’epoca ostentare una conoscenza scritturale per attirare su di sé il rispetto del popolo. Gesù, in più riprese, esortava i Suoi discepoli dal guardarsi dal lievito dei Farisei Matteo 23:5-8 Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini; difatti allargano le lor filatterie ed allungano le frange de’ mantelli; ed amano i primi posti ne’ conviti e i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze e d’esser chiamati dalla gente: “Maestro!”. Ma voi non vi fate chiamar “Maestro”, perché uno solo è il vostro maestro, e voi siete tutti fratelli.

Inclinato sul cuore di Gesù

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Giovanni 21:20

Ai discepoli pareva una cena come tante altre consumate negli ultimi tre anni. Tutto era stato preparato secondo i programmi. La stanza abbastanza ampia da ospitare tredici persone, la tavola ben apparecchiata e imbandita con cibi adeguati alla festa degli Azzimi. L’allegria riempiva i cuori dei discepoli. Gesù aveva fortemente desiderato quell’incontro. Si prospettava una bella serata in sana compagnia nella quale consolidare l’amore fraterno e rievocare i miracoli e le cose grandi che Dio aveva compiuto. Con un cenno, Gesù richiama l’attenzione di tutti, rende grazie e spezza il pane per essere distribuito tra loro. Così fece anche col vino, tutti avrebbero dovuto berne. Il Maestro lascia alla Chiesa un evento in memoria di ciò che stava per succedere. Silenziosamente tutti mangiano il boccone di pane e sorseggiano il vino ma rimangono attoniti all’udire le parole di Gesù: “Del resto, ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me sulla tavola” Luca 20:21.

Un forte imbarazzo invade la sala, chi poteva essere? Tutti si esaminano, fanno ipotesi, si interrogano e investigano su chi avrebbe potuto essere e, soprattutto perché. L’imbarazzo si trasforma in timore: … ma guai a quell’uomo per mezzo del quale Egli è tradito” (v. 22). I discepoli si concentrano su loro stessi, non si preoccupano dei sentimenti di Gesù. Tutti, tranne uno: Giovanni, il discepolo amato. Il giovane, timido, sensibile Giovanni, durante tutta la cena stava inclinato sul seno di Gesù. Quella sera aveva scelto il posto migliore, vicino a Gesù, sul Suo cuore. Poteva sentire il battito del Suo cuore palpitare di tenerezza e amore, compassione e misericordia. Solo più tardi comprenderà il perché: Il Maestro avrebbe lasciato la Chiesa a combattere in questo mondo. Ma Giovanni si accorse anche dell’umanità di Gesù. La Sua missione era conclusa, era giunto il tempo di ritornare sul Suo trono. Gesù Dio doveva lasciare il corpo terreno. Nel Getsemani, Gesù uomo, chiede al Padre di essere esonerato ma, sorretto dagli angeli, accetta e vince l’angoscia della morte fisica. Giovanni, inclinato sul petto di Gesù, avverte questo palpito e in segno della sua empatia e riconoscenza accompagna il Maestro fino ai piedi della croce. Ora Giovanni comprende il motivo di quel cuore che batteva forte. Era un palpito d’amore, di misericordia, desideroso di offrire guarigione e consolazione. Un cuore che ancora oggi si rivolge a te per abbracciarti e dirti che è morto per la tua redenzione. Ma è anche un cuore che cerca il tuo affetto, la tua comprensione e la riconoscenza per aver dato la Sua giovane vita per la salvezza della tua anima. Hai mai cercato di comprendere i sentimenti di Dio? Cosa potrebbe renderlo felice? Capire il ritmo del battito del Suo cuore ti aiuterà a realizzare un’armoniosa relazione col tuo Redentore. 

5. LA TENTAZIONE Cap. 1:13-15

incontronutrizionista-1024x722 DEFINIZIONE E ORIGINE 

Dopo aver considerato l’utilità di essere condotti dalla sapienza che viene dall’Alto, ora l’Apostolo si accinge a mostrare quali siano i pericoli che provengono dall’interno della nostra sfera spirituale ovvero gli attacchi del nemico che agisce sulle nostre passioni, sui sentimenti, desideri e voluttà (piacere intenso e predominante che si prova nella soddisfazione degli impulsi e dei desideri). Mentre la prova ha lo scopo di rafforzare la fede del Cristiano, la tentazione tende a indebolirla per farlo ritornare sotto il dominio del peccato dal quale era stato affrancato.

4. LA SAPIENZA CHE GIUNGE DALL’ALTO – Cap. 1:5-8

sapienzaPrima di tutto dobbiamo chiederci cosa è la sapienza e, soprattutto, il valore attribuitole dalla Parola di Dio. Dal vocabolario Treccani leggiamo: “Condizione di perfezione intellettuale che si manifesta col possesso di grande conoscenza e dottrina”, ovvero, per quanto più strettamente ci riguarda e con senso più ampio, “dote, oltre che intellettuale, anche spirituale e morale, intesa come saggezza unita a oculato discernimento nel giudicare e nell’operare, sia sul piano etico, sia sul piano della vita pratica”.

3. IL MINISTERO DELLA SOFFERENZA Cap. 1: 2 – 4

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Giacomo affronta immediatamente l’universale argomento della “prova”, quasi a voler sgomberare il campo da ogni giustificazione o scusante per quanto si accinge ad esporre.

Talvolta la sofferenza è usata come una sorta di alibi per scrollarci dalle spalle le nostre responsabilità, ritenendo le nostre debolezze come ostacolo legittimo all’azione della santificazione dello Spirito Santo. Ben diversa è la posizione dell’Apostolo Paolo che riteneva la sua debolezza fonte di ricchezza e vittoria di Gesù II Corinzi 12:9 … ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su me.

2. IL MITTENTE E I SALUTI Cap. 1:1

GiacomIMM 2o, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”. Quale migliore ed eloquente presentazione di un ministro di Dio! Egli si ritiene un servo, sebbene legato da un rapporto di parentela col Signore Gesù. Non avanza alcuna pretesa, mostra sottomissione e umiltà, un operaio al quale è stato affidato il compito di trasmettere il Messaggio alle “dodici tribù disperse nel mondo”. Si suppone che ai tempi di Giacomo circa quattro milioni di Giudei (di nazionalità) componevano la “diaspora”; l’Apostolo non si rivolge solo a loro, sebbene indichi il numero dodici, come totalità del popolo israelita. No, egli si rivolge ai Giudei-Cristiani che, iniziando dal giorno di Pentecoste, si erano convertiti all’Evangelo e che, a motivo di diverse persecuzioni, si erano rifugiati in tutte le parti del mondo. Un messaggio che non ha limiti di spazio, di tempo e di efficacia. Un messaggio che ha raggiunto anche la chiesa del XXI secolo. Un messaggio per tutti noi!

1. EPISTOLA DI GIACOMO L’autore

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Alcuni commentatori attribuiscono la paternità dell’epistola a Giacomo, fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo (uno dei fratelli Boanerges). Ipotesi non sostenibile in quanto fu messo a morte da Erode Agrippa nel 44 (Atti 12:1-2). All’epoca la chiesa viveva ancora “lo zelo del primo amore” e non presentava ancora le problematiche descritte nell’Epistola.

Altri sostengono che si tratti del cugino di Gesù, Giacomo d’Alfeo detto il Piccolo, uno dei dodici discepoli. Ma non vi sono prove che avallino questa teoria anche perché, sembra, non godesse di grande autorità tra i giudei-cristiani.

È, invece, molto probabile che l’autore fosse il fratello maggiore di Gesù (secondogenito di Maria) il quale, secondo una tradizione, si sia convertito all’apparizione di Gesù dopo la resurrezione.

Speranza per il futuro

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Certo, beni e bontà m’accompagneranno tutti i giorni della mia vita, e io abiterò nella casa del SIGNORE per lunghi giorni [Salmo 23:6]

Nessuno ha certezza di cosa accadrà nel suo futuro. Alcuni, presi dalla morbosità di conoscerlo, evocano spiriti, interpellano cartomanti, dipendono dall’oroscopo. Altri, cercano di stornare il pensiero lasciandosi avvolgere dalla frenesia del divertimento e del godere oggi perché domani è incerto. Conducendo una vita sfrenata, allontanano Dio dalla loro vita. Dio, e solo Lui, conosce il mio e il tuo futuro; pertanto, sono vani i tentativi di sapere quanti anni di vita ci rimangono, cosa succederà a noi e alla nostra famiglia. Dovremmo, invece, pensare al COME viviamo oggi.

Davide, seppur re, riconobbe che la vera vita non dipendeva da ciò che possedeva, dal successo o dal compiacimento degli altri. Sapeva che la vera vita dipendeva dalla presenza di Dio: “Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita. Tu mi riempirai di gioia con la tua presenza” (vedi Atti 2:28).

ACQUE CHIARE, ACQUE TORBIDE

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In Palestina ci sono due mari: quello della Galilea e il Mar Morto. Entrambi ricevono la stessa acqua che scende dal monte Hermon, la montagna più alta del Paese. Sebbene abbiano questo in comune, sono molto diversi tra loro quanto la vita e la morte. Il mare di Galilea, situato vicino alle nevi dell’Hermon, riceve le sue acque direttamente dalla sorgente. Le acque vive scorrono senza posa sui suoi fondali per arrivare nella bassa valle del Giordano. Sono fresche e ricche di vita: pesci e altri organismi danno nutrimento abbondante alle zone circostanti, là dove Gesù visse.

Al contrario, il mar Morto, pur essendo alimentato dalle stesse acque, non le riceve direttamente dalla sorgente ma attraverso il lago di Galilea. Non può dare nulla di ciò che riceve perché è situato in una depressione del terreno sotto il livello del Mar Mediterraneo, dove il caldo è soffocante e l’evaporazione assorbe quasi tutte le acque ricevute. Ciò che resta è un liquido amaro che rende impossibile la vita del lago e nei luoghi che lo circondano. Tutto è sterile, secco e salino (si può rimanere a galla anche senza nuotare).